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Arrestato il boss LO PICCOLO...

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lucareggio
icon11  view post Posted on 5/11/2007, 20:58




MAFIA: PRESO LO PICCOLO, EREDE DI PROVENZANO
PALERMO - I boss latitanti Salvatore e Sandro Lo Piccolo sono stati arrestati a Carini. Irruzione della polizia in una villa di Carini, nel Palermitano, durante un vertice dei capimafia. Catturati anche i latitanti Andrea Adamo e Gaspare Pulizzi. Per gli inquirenti, Salvatore Lo Piccolo, 65 anni, era il nuovo capo di Cosa Nostra, leadership condivisa con Matteo Messina Denaro. Recuperati alcuni 'pizzini' del boss, che e' stato tradito da uno dei fedelissimi.

L'ASCESA 'SILENZIOSA' DI TOTUCCIO - Per gli investigatori e' il nuovo capo di Cosa Nostra. Ma la carriera di Salvatore Lo Piccolo, 65 anni, si e' conclusa in carcere come quella del suo predecessore Bernardo Provenzano. Il padrino, arrestato oggi dalla polizia, era latitante dal 1983; il figlio Sandro, 32 anni, catturato nello stesso blitz, era invece ricercato da sette anni dopo una condanna all'ergastolo. Per i non addetti ai lavori il nome non dice nulla, ma il voluto anonimato del buon ''Totuccio'' Lo Piccolo nasconde il cuore e la furbizia del vero capo. Il borsino di Cosa nostra lo colloca in cima alla scala, sullo stesso gradino di Matteo Messina Denaro, il boss trapanese in lotta con Lo Piccolo per la leadership dell'organizzazione. ''Totuccio'' ha navigato a vista flirtando con successo coi corleonesi di Toto' Riina, senza mai esporsi del tutto. Gia' condannato all'ergastolo, ha eliminato parecchia gente e ha fatto ricchi traffici con la cocaina e con gli appalti pubblici.

E' in contatto con i ''cugini'' d'America, con i quali ha avviato affari oltreoceano, ed ha messo le mani sul fiorente mercato del pizzo alle imprese del mandamento mafioso di San Lorenzo, che costituisce una delle articolazioni piu' vaste dell'organizzazione mafiosa. Il territorio dei Lo Piccolo comprende non solo la parte nord-occidentale della zona metropolitana di Palermo, ma anche le famiglie dei comuni di Capaci, Isola delle Femmine, Carini, Villagrazia di Carini, Sferracavallo e Partanna-Mondello. Dopo la cattura del capomafia trapanese Vincenzo Virga, Lo Piccolo ha esteso la sua influenza anche ad alcune zone della provincia di Trapani. Sandro e Salvatore Lo Piccolo restano pero' i ''padroni'' dello Zen, una vasta zona a residenza popolare alla periferia della citta', inesauribile serbatoio di manodopera e formidabile nascondiglio per ogni genere di necessita'. ''Totuccio'' ha iniziato la sua scalata al vertice dell'organizzazione dopo essersi messo sotto l'ala protettrice di Bernardo Provenzano, con il quale aveva costanti rapporti personali ed epistolari attraverso i famigerati ''pizzini''.

Col tempo e con una regia accorta di alleanze ha consegnato al vecchio padrino corleonese mezza citta'. Gli ha offerto un braccio armato di cui era sprovvisto. Ne ha ricevuto in cambio un via libera incondizionato alla sua ascesa ''silenziosa''. La storia del clan Lo Piccolo e' relativamente recente: punta al controllo degli appalti, a partire dalla realizzazione degli svincoli autostradali, estorsioni e guardianie. Ma anche attraverso l'esazione sistematica di una quota sociale per le utenze elettriche: 15 euro per non avere problemi e tenere le lampadine accese nei cubi di cemento con i muri in cartongesso dello Zen2. Con l'incoronazione che li ha fatti padrini, i Lo Piccolo hanno avviato una vera e propria campagna di reclutamento, annettendosi anche un pezzo della vecchia mafia di San Lorenzo e Tommaso Natale: due mandamenti che sono da sempre un termometro sensibile di cio' che accade all'interno dell'organizzazione. La tregua e' rotta di rado. E l'atmosfera che i boss impongono e' quella di una calma piatta che tiene lontani guai e curiosita'. Cosi' come ha insegnato loro Bernardo Provenzano. Mezza imprenditoria che ha messo radici da quelle parti e' stata coinvolta in indagini antimafia: per collusioni e intimidazioni. Cosi' anche l'elenco dei fiancheggiatori dei Lo Piccolo, degli amici, degli indifferenti e' lunghissimo. Con una costante ricorrente. Nei racconti dei pentiti, padre e figlio sono sempre da qualche parte dello Zen: visibili a tutti meno che ai segugi dell'antimafia. Visibili e mobilissimi.

L'ultimo collaboratore di giustizia, Francesco Campanella, esponente politico di Villabate, cittadina alle porte di Palermo, racconta che in un bar Totucccio Lo Piccolo avrebbe incontrato Bernardo Provenzano. In un altro interrogatorio, sempre Campanella, conferma quel che gia' era noto: l'asse di ferro che lo lega a Matteo Messina Denaro, il principe del Trapanese. Un patto cementato ancora una volta durante un incontro ravvicinato. Una stretta di mano tra i due boss destinati, ciascuno a suo modo, a un futuro da re nell'era dei postcorleonesi. Ma anche il nuovo capo di Cosa Nostra e' finito in cella, mentre il cerchio attorno a Messina Denaro si stringe ogni giorno di piu'.


GLI AFFARI SULL'ASSE SICILIA-USA - Il nuovo capo di Cosa Nostra Salvatore Lo Piccolo, arrestato oggi dalla polizia insieme al figlio Sandro, avrebbe scalato i vertici di Cosa Nostra e rafforzato la sua leadership mafiosa grazie anche agli stretti rapporti con i ''cugini'' americani. Il boss ha infatti intessuto negli ultimi anni stretti rapporti d'affari con le famiglie d'oltre oceano, sopratutto nel traffico di droga, attraverso una fitta ragnatela di alleanze e di legami familiari. In particolare Lo Piccolo avrebbe ''sponsorizzato'' il ritorno in Sicilia degli Inzerillo, la famiglia mafiosa di Passo di Rigano costretta a un lungo esilio negli Stati Uniti dopo essere stata decimata all'inizio degli anni '80 dai ''corleonesi''.

Gli ''scappati'', come venivano chiamati gli ultimi superstiti di quella sanguinosa guerra di mafia avrebbero ottenuto l'autorizzazione a rientrare, grazie ai buoni uffici dell'amico ''Totuccio'', da Bernardo Provenzano in persona. Una decisione che avrebbe suscitato numerosi malumori in seno alle cosche palermitane, come testimoniano le intercettazioni nel magazzino utilizzato dal boss Nino Rotolo come sede di summit mafiosi mentre era agli arresti domiciliari. Ma Salvatore Lo Piccolo avrebbe avuto contatti anche con un altro pezzo della vecchia mafia, Vito Badalamenti, figlio di Don Tano, l'anziano boss di Cinisi morto nel carcere americano di Fairton dopo essere stato condannato negli Usa per traffico di stupefacenti e in Italia per l'uccisione di Peppino Impastato. Badalamenti jr., ricercato da una decina di anni, avrebbe trovato rifugio all'estero, probabilmente in Brasile, da dove continuerebbe a gestire affari con la mafia americana e con quella siciliana. Insomma un ritorno in grande stile degli eredi dei boss coinvolti nella cosidetta Pizza Connection, la prima grande inchiesta sul traffico di droga tra la Sicilia e gli Usa di cui si occupo' anche Giovanni Falcone. Proprio in quel periodo, nel 1983, comincia la latitanza di Salvatore Lo Piccolo.

Il boss di Tommaso Natale in pochi anni estende la sua influenza in gran parte della zona occidentale della citta', ben al di la' del suo mandamento, riducendo drasticamente il potere di Antonino Cina' su quello di San Lorenzo e riuscendo a stabilire una solida alleanza con Giuseppe Savoca, ''reggente'' del quartiere Brancaccio. Accanto a lui il figlio Sandro, che ben presto segue le orme criminali del padre condividendone la latitanza. Oltre a Sandro, Lo Piccolo ha altri due figli che sono liberi, uno dei quali ha scontato una condanna per associazione mafiosa; l'altro - incensurato - ha sposato la figlia di emigranti di Torretta (Palermo) che hanno vissuto a lungo a New York. E proprio nella Grande mela pochi anni fa la moglie di Salvatore Lo Piccolo ha trascorso alcune settimane di vacanza incontrando amici e parenti ''acquisiti'' emigrati negli Stati Uniti. E proprio sull'asse Sicilia-Usa si sarebbe sviluppata negli ultimi anni l'inarrestabile ascesa di Totuccio l'amico degli ''americani''.


ORA NUOVO STRATEGA E' MESSINA DENARO - E adesso cosa succedera' all'interno di Cosa nostra? Quali sono gli scenari che si delineano negli organigrammi mafiosi con l'uscita di scena di Salvatore Lo Piccolo, detto il ''barone''? Sono queste le domande che circolano negli ambienti investigativi e giudiziari, dopo la cattura del boss palermitano, indicato dal procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso come il naturale ''erede'' al trono di Salvatore Provenzano. Una reggenza condivisa insieme con l'altro superlatitante trapanese, Matteo Messina Denaro, sul quale ora sono puntati gli occhi di tutti. Questa sorta di diarchia avrebbe assicurato, anche in seguito all'arresto del capo di Cosa Nostra, la strategia della 'sommersione'.

L'abbandono cioe' della stagione stragista, voluta da Riina, che aveva scatenato una durissima repressione da parte dello Stato, e il recupero di un ruolo di cerniera con la politica e l'economia legale, propugnato invece da Provenzano. Ma il vuoto di potere lasciato dal ''barone'' rischia adesso di scatenare nuove guerre tra cosche, come ammette anche il Procuratore di Palermo Francesco Messineo, che parla di ''fibrillazioni'' tra i capi emergenti. ''Da oggi con l'arresto di Salvatore e Sandro Lo Piccolo, le famiglie mafiose di Palermo sono senza un capo'' conferma il pm Nico Gozzo, uno dei magistrati che hanno coordinato il blitz. E osserva: ''Si apre adesso una fase pericolosissima, considerato anche che a Palermo si muovono alcuni degli 'scappati'''. Il riferimento e' ai cosiddetti ''perdenti'' della guerra di mafia degli anni Ottanta, rientrati in Sicilia dagli Usa proprio grazie alla ''mediazione'' di Salvatore Lo Piccolo, che era riuscito a convincere Provenzano. Una decisione fortemente osteggiata da un altro boss palermitano, Nino Rotolo, che aveva affidato al suo killer di fiducia, Gianni Nicchi, 26 anni, l'incarico di uccidere il ''barone''.

L'arresto di Rotolo aveva bloccato il progetto, lasciando campo libero ai Lo Piccolo, ma adesso le famiglie rivali potrebbero nuovamente rientrare in gioco. Un ruolo determinante l'avra' di sicuro Matteo Messina Denaro, 45 anni, latitante dal 1993, l'ultimo ''erede'' di Provenzano ancora in circolazione. Un boss di ''terza generazione'', che ha trent'anni meno del padrino corleonese e vent'anni meno di Salvatore Lo Piccolo. Nato a Castelvetrano, in provincia di Trapani, e' il rampollo di don Ciccio, capo delle famiglie trapanesi, morto nel 1998 mentre, anche lui, era latitante. In gioventu' Matteo girava in Porsche, col Rolex al polso e belle donne al seguito. Piu' che un boss, un esempio da seguire per le nuove generazioni di mafiosi, affascinati da questo giovane rampante dal fisico asciutto e dallo sguardo magnetico, gia' condannato definitivamente all'ergastolo per le bombe del '93 a Roma, Firenze e Milano. L' ultima sua immagine, immortalata da una istantanea, mostra un giovanotto ingabbiato in occhiali trendy, giacca di buon taglio, capelli corti: una foto che rimanda piu' ad un manager che ad un feroce criminale e, meno che mai, alla ruvidezza contadina dei capibastone corleonesi. Eppure i pentiti lo descrivono come un assassino spietato, pronto a strangolare con le sue mani la donna di un boss rivale, Antonella Bonomo, incinta di tre mesi, dopo avere ucciso il suo compagno. Insomma un esponente dell'ala militarista, legato all'esperienza di Giovanni Brusca e di Leoluca Bagarella, che potrebbe cambiare nuovamente la strategia di Cosa Nostra, tornando a sfidare frontalmente lo Stato.


GLI SPARI A GIARDINELLO FANNO NOTIZIA - Tra le strette vie di Giardinello, comune del palermitano con 1880 abitanti, compreso tra Partinico, Borgetto e Montelepre, non si fa che parlare di quegli spari che questa mattina hanno movimentato la tranquilla vita del paese. Il rumore dei colpi in aria della polizia, prima dell'arresto dei Lo Piccolo, ha risuonato nella vallata della contrada di Portadinello raggiungendo le abitazioni del piccolo comune dominato dalla vetta del Montanello. Era dai tempi del bandito Salvatore Giuliano, nato nel vicinissimo comune di Montelepre, che Giardinello non saliva agli onori della cronaca.

Proprio tra i due comuni, infatti, Giuliano aveva stabilito il suo quartier generale e compiuto i suoi primi delitti. ''L'arresto ci ha colti di sorpresa - ha detto il vicesindaco di Giardinello, Andrea Caruso - Quando ho visto gli elicotteri che sorvolavano la zona non ho pensato proprio che potesse trattarsi di una cosa del genere. Il nostro e' un paesino tranquillo, abitato da coltivatori, e non vorremmo che quest'episodio potesse associare il nome di Giardinello a quello della mafia''. Al municipio molti conoscevano Filippo Piffero, proprietario della villetta dove sono stati arrestati i quattro latitanti, ma nessuno ha mai sospettato dei suoi possibili contatti con i mafiosi. ''Piffero e' di Montelepre e spesso veniva qui in paese, dove ha la villa - ha raccontato Caruso - Era in pensione e si dava da fare coltivando vigneti e uliveti, oltre a un piccolo allevamento di mucche. Sembrava una persona per bene. Per noi il suo arresto e' stata una sorpresa''.

Preoccupato anche il vicino di casa di Piffero, che questa mattina ha trovato decine di auto della polizia nello stretto viale che costeggia casa sua. ''Conosco la famiglia Piffero da cinquant'anni - ha detto - Ma non so chi siano i Lo Piccolo, ne' che i Piffero avessero contatti con loro''. Anche al bar del chiosco, alle porte del paese, l'arresto dei boss e' l'argomento del giorno. Fra il cornetto e il caffe', molte persone fanno capannello scambiandosi opinioni sull'avvenimento. ''Quando ho visto gli elicotteri - racconta un uomo - ho pensato che avessero trovato qualche piantagione di marijuana. Poi ho saputo quello che era successo e sono rimasto sconvolto''. Le donne del paese, scese a far la spesa, si fermano tra i banchi della salumeria per commentare l'arresto. ''E' incredibile - dice Francesca Caruso, 60 anni - Non potevo immaginare che ci fossero dei mafiosi vicino al nostro paese, magari anche tra di noi. Qui c'e' tanta gente tranquilla. Questa notizia mi ha messo un po' paura''.(
 
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